MISURA 16.2 – COOPERAZIONE SCHEMA DI PROGETTO PILOTA
1.1 TITOLO DEL PROGETTO E CONTESTO PRODUTTIVO
PREVENZIONE E CONTRASTO ALLA DIFFUSIONE DEL MARCIUME RADICALE FIBROSO DA ARMILLARIA IN OLIVICOLTURA
Introduzione alla realtà produttiva interessata dal progetto
Fra le malattie dell’olivo che in Calabria hanno una lunga e documentata storia e tuttora si distinguono per diffusione e gravità, si ricorda in particolare la “pinguedine”, vecchio termine caduto prima in disuso e poi abbandonato in favore di “marciume delle radici”. Con esso si soleva indicare uno stato di sofferenza generato nelle piante dalla presenza sulle radici e fin sopra il colletto, del basidiomicete Armillaria mellea, formante cespi di carpofori mangerecci (“chiodini” o “famigliola buona”), ma parassita radicale ed agente di marciumi causanti gravi deperimenti vegetativi, fino alla morte delle piante. La Calabria, terra nota per le selve e le montagne incombenti fino al mare, ha visto sviluppare la sua arboricoltura, olivicoltura soprattutto, su aree progressivamente disboscate o, comunque, in vicinanza di boschi o di macchia mediterranea. Quivi questo fungo è ubiquitario e partecipa all’equilibrio del sistema bosco, sviluppandosi ora come saprofita, ora come parassita a carico di piante deboli o in deperimento. Passato sull’olivo, il fungo si è comportato spesso da patogeno primario, uccidendo piante giovani oppure, su piante adulte, dando luogo a infezioni croniche ma non prive di conseguenze negative sul vigore vegetativo, sulla produzione o sulla stabilità delle piante. Per la sua polifagia il fungo rappresenta una seria minaccia per tutta la frutticoltura calabrese.
Giovanni Mottareale, forte della sua trascorsa esperienza come professore incaricato di Patologia vegetale a Portici, ingaggiò in Calabria una sua personale battaglia contro questa malattia, che d’altronde era tenuta nel massimo conto anche da Orazio Comes, che era stato suo maestro. Secondo Mottareale, molti mali che affliggevano l’olivicoltura calabrese dipendevano dal modo con cui l’olivo veniva propagato. L’operazione veniva realizzata ordinariamente per ovoli (topparedde) che, per evitare mutilazioni alle piante d’olivo sane, venivano prelevati preferibilmente da quelle abbattute dal vento o da altre cause avverse, in genere proprio per lo scarso ancoraggio causato dalle infezioni radicali del fungo. Le piante che ne derivavano si portavano dietro «come triste eredità i mali costituzionali, che aggravati dalla vecchiaia deprimono la pianta madre, e le malattie crittogamiche che attaccano le radici rendendole fracide (radici cungelate)». La malattia, dai singoli centri d’infezione era quindi in grado di propagarsi per mezzo delle rizomorfe, diffondendosi a macchia d’olio negli impianti, divenendo, com’è tutt’ora, assai comune nella Piana di Gioa Tauro.
Nella seconda e terza decade di maggio del 1926, un impetuoso e continuo vento di scirocco imperversò nella Piana di Gioa Tauro, colpendo in modo particolare gli oliveti posti lungo il percorso della ferrovia calabro-lucana nei Comuni di Cittannova, Radicena, Molochio, ecc. Moltissime furono le piante divelte e fu facile ai tecnici della Cattedra Ambulante far notare agli agricoltori l’esiguità dell’apparato radicale di queste piante, la mancanza di fittone e la presenza di radici “congelate” (male bianco): tutte conseguenze della deprecabile usanza di propagare le piante per “topparelle” tratte da piante malate.
La “pinguedine” era, ed è tutt’ora, una malattia da prevenire. In tal senso, Mottareale, come assistente alla cattedra di Botanica di Comes, ben conosceva gli studi sulla malattia e le regole di profilassi che quest’ultimo aveva elencato nei suoi scritti. La propagazione delle piante per seme era una di tali regole ed aveva la funzione di evitare, come nel caso delle piante ottenute da talea, ferite all’apparato radicale, attraverso le quali potesse insediarsi il patogeno. Nel caso dell’olivo, e nel reggino in particolare, erano gli ovoli stessi a trasmettere ai nuovi soggetti la malattia. In un percorso virtuoso di lotta alla “pinguedine”, la propagazione per seme rappresentava un’esigenza primaria e con essa la necessità di tenere a battesimo anche in Calabria i primi vivai di olivo da seme. Obiettivo che Mottareale perseguì con decisione, facendone oggetto di relazioni già a partire dal 1901, ancor prima di dirigere la Cattedra Ambulante. Il primo vivaio della provincia di Reggio Calabria fu realizzato nel 1924 nella proprietà del comm. Francesco Starace Tripodi. Pochi anni dopo erano già numerosi gli agricoltori che impiantavano in proprio semenzai d’olivo o di oleastro oppure realizzavano piantonai con semenzali provenienti dalla Toscana o infine spedivano le marze in Toscana per averne di ritorno le piante innestate.
Descrizione del problema da risolvere mediante soluzioni innovative
Estese morie di piante adulte (40-50 anni) di olivo, causate dal marciume radicale fibroso da Armillaria mellea (Vahl. Ex Fr.) Kummer stanno interessando negli ultimi anni la Piana di Gioia Tauro ed in modo sempre più intenso molte aree olivicole regionali. Il fenomeno appare in continua diffusone e sembra possa essere messo anche in relazione con i cambiamenti climatici che hanno ampliato sia l’attività del patogeno che quella vegetativa della pianta, creando condizioni di maggiore suscettibilità.
- mellea è un fungo basidiomicete agente di marciumi radicali su molte specie arboree ed arbustive. Il fungo possiede un potenziale patogenetico molto elevato, favorito dalla presenza delle rizomorfe, strutture di resistenza ed aggressione, in grado di muoversi agevolmente nel terreno diffondendo la malattia progressivamente e a macchia d’olio. La sua presenza su olivo in Calabria è storicamente documentata da tempi remoti ed è endemica negli oliveti secolari della Piana di Gioa Tauro ed in molte aree del Vibonese e del Catanzarese, ma nessuna area olivicola calabrese ne è indenne. La prevalente diffusione dell’olivicoltura calabrese in aree ex boschive, dove il fungo è presente endemicamente, unitamente ad alcune consuetudini colturali, quali l’antica usanza di propagare l’olivo per ovoli, di interrare e lasciare in situ, nei terreni disboscati, le ceppaie delle piante forestali, di impiantare troppo in profondità, ben oltre il colletto, le piante nel terreno, di ammucchiare il terreno alla base delle piante negli ambienti ventosi per sostenerle o ancora di lasciare in situ i pali di legno utilizzati per il sostegno delle giovani piante, hanno nell’insieme contribuito notevolmente alla diffusione della malattia.
La difficoltà di contenimento di questa malattia una volta insediatasi in un ambiente, la sua elevatissima polifagia e l’impossibilità di eradicarne l’agente patogeno dai terreni infetti, unitamente all’elevata diffusione nei terreni olivicoli, ne fanno il patogeno più importante e temibile in Calabria, in grado di condizionare la sopravvivenza e produttività degli oliveti e numerosissime altre colture frutticole (Agosteo, 2000).
In Calabria la malattia costituisce un serio problema in molte aree pianeggianti e di collina con terreni freschi e/o prospicienti a terreni boschivi o ex boschivi. A seconda delle condizioni ambientali e dell’età dell’albero la malattia può portare ad un rapido declino delle piante, le quali muoiono rapidamente (Apoplessia) o ad un progressivo indebolimento degli alberi, che possono rimanere in vita per diversi anni. Sulle piante secolari che caratterizzano questi impianti olivicoli, con apparati radicali molto espansi, il fungo ne condiziona vigoria e produttività ma non ne causa la morte per la difficoltà di giungere al colletto spesso sporgente sopra il terreno a “zampa di elefante”. Nel caso della prevedibile riconversione dell’olivicoltura di queste aree secondo modelli più razionali, così come auspicato da tempo, sono da temersi gravissimi attacchi, tali da compromettere in pochi anni la sopravvivenza delle giovani piante di olivo o altre specie impiantate, così come d’altronde è avvenuto con altre colture, come l’actinidia, frequentemente consociate alla vecchia olivicoltura.
Gli alberi adulti infetti possono comunque convivere per molti anni con la malattia, se generano continuamente nuove radici ed il fungo non arriva al colletto. La morte sopraggiunge quando l’avanzamento del patogeno ha interessato buona parte delle branche radicali.
Analisi dei punti di debolezza e dei fattori di miglioramento della realtà produttiva grazie all’intervento proposto
Il contenimento del marciume radicale causato da A mellea è estremamente difficile a causa della sua presenza ubiquitaria nel terreno sotto forma di masse miceliali racchiuse nei tessuti infetti di piante e a causa di una serie di caratteristiche specifiche, tra cui resistenza alla siccità, la tolleranza di un ampio range del PH del terreno, elevato numero di ospiti e la penetrazione in profondità nel terreno. L’impiego di prodotti chimici fumiganti, possono devitalizzare il patogeno nel terreno ma fino ad una profondità di non oltre 50 cm. Tuttavia, oltre all’elevato costo hanno un elevato impatto ambientale e creano vuoto biologico, così come avviene con la sterilizzazione del terreno mediante iniezioni di vapore acqueo. Entrambi, eliminando gli antagonisti naturali, sono a rischio di una più rapida colonizzazione del terreno da parte del patogeno.
La realizzazione di impianti olivicoli con piante indenni del marciume radicale fibroso, come per molte altre malattie causate da agenti patogeni, si ottiene attraverso l’uso di materiale di propagazione sano e la realizzazione dei nuovi impianti in terreni non infetti. La spesso generalizzata diffusione del patogeno rende questa ultima condizione non frequente in Calabria.
Quando il patogeno è già presente in campo, le strategie di controllo dovrebbero mirare a gestire la malattia piuttosto che a sradicarla, convivendo con essa, riducendo la quantità di inoculo presente, rendendo il suo avanzamento sugli apparati radicali lento e difficile e garantendo alla pianta buone condizioni vegetative (potature e concimazioni). In questo contesto le strategie di controllo integrato e i metodi di agronomici giocano un ruolo importante.
Obiettivo del progetto è la messa a punto di una serie di interventi agronomici, biologici, fisici e chimici a basso impatto ambientale che consentano di convivere con il patogeno garantendo la sopravvivenza e produttività delle piante ed escludendo l’impiego di fumiganti chimici. Porrà inoltre le basi tecniche per promuovere in sicurezza la riconversione delle aree olivetate contaminate dal patogeno.
Metodi di controllo agronomici
È ampiamente dimostrato che A. mellea aggredisce più facilmente l’ospite quando questi è sotto uno stato di stress dovuto a siccità, asfissia radicale, danni meccanici oppure mancata potatura. Quindi, un’appropriata potatura, concimazioni bilanciate, irrigazioni razionali e appropriate pratiche agronomiche di gestione del suolo e della chioma devono essere messe a punto per consentire una reazione della pianta al patogeno e per favorire la generazione di nuove radici.
Gli interventi di tipo preventivo fanno riferimento alla completa eliminazione dei residui radicali dal terreno prima dei reimpianti, all’appropriata sistemazione idraulica del terreno al fine di evitare ristagni, alla corretta gestione della distribuzione dell’acqua nel caso di impianti irrigui, alla realizzazione di impianti superficiali, mettendo a dimora le piante con la corona radicale in superficie o appena al di sopra del livello del terreno, all’utilizzo nei nuovi impianti di pali tutori non di legno o, se di legno, con la punta bruciata, nonché la loro pronta rimozione dopo la stabilizzazione delle piante.
Le piante infette e deperienti vanno estirpate con completa eliminazione delle radici e le buche disinfettate con calce viva. Il trapianto sullo stesso sito di piante suscettibili si può realizzare, con felice esito, solo dopo alcuni anni. L’impianto su terriccio inoculato con antagonisti microbici può garantire le piante per un certo tempo. In presenza di un’area infetta ben delimitata il suo isolamento da quelle limitrofe può essere realizzato mediante scavo di fossi di sufficiente profondità (60-80 cm) che impediscano l’avanzamento delle rizomorfe.
Su piante infette è necessario, eventualmente dopo adeguata riduzione della chioma, scalzare i primi palchi radicali in estate, in modo da lasciarli esposti all’azione dei raggi solari, e rimuovere con forti getti di aria compressa i residui di terreno. La buca deve essere riempita a fine estate con materiale grossolano e poroso, o meglio ancora con terricciati inoculati con funghi antagonisti (Trichoderma spp., ecc). La distribuzione di calce nella buca, sui pachi radicali, è spesso realizzata. Negli impianti profondi è quanto meno necessario procedere alla sconcatura di tutte le piante vicine a quelle infette.
Controllo chimico
In passato l’eradicazione di A. mellea, così come di altri agenti patogeni terricoli (soil-borne), veniva realizzata con fumigazioni di bromuro di metile. Bandito il suo utilizzo nel 2005, sono stati utilizzati in alternativa altri fumiganti fra i quali in particolare metil-isotiocianato e i suoi precursori (metham sodium e dazomet). Tuttavia essi non forniscono un adeguato contenimento della malattia ed hanno un elevato impatto ambientale.
Oltre ai fumiganti, diverse sostanze chimiche sono state riportate come efficaci nel controllo di A. mellea in prove di laboratorio. In genere non sono state utilizzate in prove di campo o non hanno confermato, in tale condizione, la loro efficacia. Il fallimento nel raggiungere un controllo efficace in condizioni di campo è causato in primo luogo da una fitta rete di filamenti miceliali e rizomorfe nel terreno, a volte a grande profondità o protetti all’interno del legno. Inoltre, molti prodotti chimici solubili in acqua sono spesso dilavati dal terreno o, al contrario, non riescono a raggiungere gli agenti patogeni in quanto sono protetti da particelle di terreno o da le superfici degli organi legnosi. Recentemente è stato segnalato come efficace in Grecia, su Kiwi ed altre colture frutticole l’impiego di Ciproconazolo, mediante bagnatura del terreno (Thomidis e Exadaktylou, 2012). Altre applicazioni possono interessare sostanze attive o concimi induttori di resistenza (Etilfosfito di alluminio, fosfiti di potassio, ecc.) ed estratti naturali, come l’estratto di bucce di melograno, che il Dipartimento di Agraria ha rilevato essere molto efficace contro numerose malattia, aggiungendo all’attività tossica sui patogeni quella di induttore di resistenza.
Tutte le applicazioni saranno realizzate in campo su piante infette. La valutazione dell’esito dei trattamenti sarà realizzato monitorando lo stato vegetativo delle piante anche mediante valutazione del contenuto in clorofilla delle foglie e mediante rilevamento della presenza del fungo su porzioni di tessuto dei palchi radicali mediante diagnosi biologica e molecolare. Per una più rapida valutazione dei trattamenti saranno realizzate in parallelo prove su talee e semenzali di olivo inoculati artificialmente con Armillaria e su piante di fragola, che rappresentano, per l’elevata suscettibilità e rapida evoluzione della malattia, il modello ideale di valutazione. Altre applicazioni saranno realizzate mediante iniezioni fungicide al tronco a livello del colletto.
Controllo fisico
La disinfezione del suolo con il vapore è teoricamente applicabile ed efficace ma ha un costo molto elevato e difficilmente proponibile in pieno campo, inoltre non raggiunge elevate profondità e crea vuoto biologico esponendo il terreno a rapide ricontaminazioni.
La solarizzazione del terreno è un’alternativa molto valida. La tecnica ha dimostrato di essere efficace e affidabile contro numerosi agenti patogeni terricoli (soil-borne) tra cui A. mellea. L’applicazione alla base di piante infette, qualche settimana prima dell’inoculo con antagonisti microbici potenzia notevolmente l’insediamento di questi ultimi e riduce notevolmente la vitalità di Armillaria spp. nelle zona del colletto e dei primi palchi radicali, garantendo una prolungata vitalità delle piante.
Controllo biologico
Una indispensabile approccio alla difesa, in aggiunta alle appropriate pratiche agronomiche, è rappresentato dal controllo biologico mediante impiego di microrganismi antagonisti. I più studiati antagonisti di Armillaria spp. appartengono al genere Trichoderma, che comprende specie fra le più diffuse colonizzatrici dei suoli. I meccanismi d’azione messi in atto nei confronti dei patogeni fanno riferimento a tre componenti: l’antibiosi e lisi, la competizione per lo spazio ed il nutrimento, l’iperparassitismo. Negli ultimi anni, accanto a tali azioni di contrasto rivolte nei confronti dei patogeni, sono state messe in evidenza a carico di Trichoderma spp. una serie di attività svolte direttamente sulle piante, con promozione dello sviluppo radicale e della capacità di assimilazione dei nutrienti, con incremento della fotosintesi e dell’efficienza fotosintetica. Più recentemente è stata messa in evidenza la capacità di alcuni ceppi di Trichoderma di colonizzare simbionticamente, come endofiti, lo strato corticale più esterno delle radici, con un comportamento assimilabile a quello delle micorrize e benefici per le piante riferibili fra gli altri a fenomeni di induzione di resistenza nei confronti di stress biotici ed abiotici, una maggiore capacità di assimilazione dell’azoto e altri nutrienti ed un’azione di contrasto all’invasione del patogeno.
Alcuni ceppi di specie appartenenti al genere Trichoderma, appositamente valutati per la loro efficacia antagonista, sono stati commercializzati come biofungicidi:
- harzianum KRL-AG2 (Rootshield, Trianum G)
- harzianum KRL-AG2 (T-22) (Trianum P)
- harzianumT39(Tricodex)
- harzianum ICC 012 + T. viride ICC 080 (Remedier , Radix)
- asperellum TV 1 (Xedavir, Xedaprim, Xedasper)
- atroviride 898G (Tifi)
Diverse ricerche hanno messo in evidenza l’efficacia in vitro ed in vivo della aggiunta di inoculi di differenti ceppi di Trichoderma spp. o altri funghi antagonisti per il contenimento di A. mellea, sia nel caso di reimpianti di oliveti in terreni contaminati, sia intervenendo su piante infette ma ancora non compromesse. Allo scopo saranno utilizzati sia ceppi presenti in commercio che isolati provenienti dagli ambienti di riferimento e da collezioni di Istituti di ricerca. La valutazione in campo riguarderà inoltre il ruolo, sia esclusivo che concomitante, dell’apporto di diversi tipi di ammendanti e substrati organici al terreno nel facilitare l’attecchimento e diffusione dell’antagonista. Le stesse valutazioni riguarderanno la solarizzazione del terreno prima della somministrazione dell’antagonista.
Preliminarmente in laboratorio verranno effettuate valutazioni di antagonismo in “colture duali” in piastra, su substrato di coltura agarizzato, del patogeno e del potenziale antagonista, valutando quindi l’eventuale inibizione del patogeno da parte del potenziale agente di biocontrollo. Un successivo screening, più aderente alle condizioni di campo, sarà realizzato in coltura duale su tronchetti di legno sterilizzati in autoclave e posti su substrato nutritivo. Quindi si procederà alla valutazione “in vivo”, sia mediante inoculazione di Armillaria nel terreno di crescita di talee o semenzali di olivo con tronchetti di legno, o altri substrati organici, colonizzati dal fungo e con la contemporanea distribuzione dell’antagonista, sia mediante inoculazioni del substrato di crescita di piante di fragola che hanno dimostrato di essere un ottimo modello per la valutazione dell’efficacia di potenziali antagonisti nei confronti di A. mellea grazie alla capacità di produrre rapidamente i sintomi della malattia, consentendo in tal modo una valutazione più rapida di quanto si potrebbe eventualmente ottenere con le piante di olivo.
Le valutazioni “in vivo” riguarderanno anche tesi con apporti relativi a differenti tipi di ammendanti nel terreno e in successione alla solarizzazione.